Il concetti di transizione ecologica e di sviluppo sostenibile

image definition.jpg (0.4MB)
Questo testo spiega i concetti di sviluppo sostenibile e di transizione ecologica, e i contesti in cui si sono sviluppati.

I due concetti, che non sono affatto equipollenti, sono ad oggi universalmente accettati per smuovere le istituzioni e i soggetti della società civile per quel che riguarda le sfide ambientali, sociali ed economiche.

Obiettivo pedagogico di questa scheda

  • Definizione dei concetti di sviluppo sostenibile e di transizione ecologica
  • Contesto storico
  • Correnti di pensiero sui due concetti
  • Sfide e prospettive
  • Eventuali collegamenti con altri concetti

Una progressione nei concetti

La nozione di transizione ecologica emersa già da qualche anno sembra sostiuirsi al termine «sviluppo sostenibile».

Proveniente dal medesimo movimento ambientalista, e con l’intenzione di precisare la necessità di uscire dal paradisma del progresso, la transizione ecologica, salita agli onori della cronaca grazie ai movimenti delle città in transizione di Hopkins, mette l’accento sull’innovazione sociale e locale di territori resilienti basandosi sull’autonomia, l’autosufficienza, la governance condivisa...

La nozione di «transizione ecologica

Il termine “transizione” compare per la prima volta durante gli anni ’70, soprattutto nel rapporto Meadows del 1972, che insiste sulla necessità di una “transizione da un modello di crescita a uno di equilibrio globale”, sottolineando i rischi ecologiche indotti dalla crescita economica e demografica. Nel 1987, il rapporto Brundtland (Boissonade, 2017) raccomanda «la transizione verso lo sviluppo sostenibile ».

Il termine “transizione” esiste da molto tempo. All’inizio veniva utilizzato per indicare i passaggi di stato di una sostanza (liquido-solido-gassoso).

Il cambiamento indicato non è affatto lineare, ma caotico, secondo un modello definito di “equilibrio punteggiato” (Loorbach D., 2007). Questo modello è stato applicato all’ecologia, alla psicologia, all’economia, alla demografia e agli studi tecnologici.

Rotmans e Kemps hanno introdotto il concetto di transizione nel campo dello sviluppo sostenibile, della governance e della politica a partire dagli anni 2000.

Il concetto di transizione nel quadro dello sviluppo sostenibile nasce nei Paesi Bassi all’inizio degli anni 2000. Ha origine nelle ricerche sull’innovazione sistemica o sociotecnica dei modelli energetici della transizione ecologica. Nei Paesi Bassi, ricercatori, funzionari, imprenditori, sindacalisti e rappresentanti delle ONG hanno elaborato diversi scenari per mettere in pratica lo sviluppo sostenibile e la transizione ecologica in tutti gli aspetti della vita (energia, agricoltura, trasporti, biodiversità) grazie ad agende, metodi e funzionamenti concertati e condivisi (Boulanger P-M., 2008).

Nel dizionario del pensiero ecologico (Bourg, 2015), la transizione è definita come “un processo di trasformazione grazie al quale un sistema passa da un regime di equilibrio a un altro”.

La transizione è una riconfigurazione e una trasformazione culturale a tutti i livelli e in tutti i settori che si evolvono congiuntamente in modo non controllato perché sistemico e complesso (Boissonade, 2017).

Geels e Loorbach (Loorbach, 2007) hanno identificato tre livelli di transizione. Il primo integra le innovazioni sociali (dette “nicchie”) realizzate tramite esperimenti condotti a margine di sistemi stabiliti.

Queste sperimentazioni sono prese in considerazione a un secondo livello : i regimi, che costituiscono le regole, e le norme che guidano i comportamenti per la stabilità del sistema. Queste evoluzioni sono articolate al terzo livello, il “paesaggio”, che è l’ambiente esterno e le tendenze di fondo. Le evoluzioni simultanee a questi tre livelli innescano le transizioni (Boissonade, 2017).

In Francia, la nozione di transizione ecologica ed energetica è stata adottata a partire dal 2012 come testimoniano la creazione del Consiglio Nazionale di Transizione Ecologica, la legge relativa alla transizione energetica per la crescita del verde del 2014 e la Strategia Nazionale di Transizione Ecologica verso lo Sviluppo Sostenibile (2015-2020).

Il termine transizione è utilizzato nel movimento delle città in transizione, e rinvia a quello di realizzazione di una resilienza delle comunità locali (bioregionalismo), a fronte di una penuria anticipata dei combustibili fossili e soprattutto del petrolio.

Si tratta allora di rilocalizzare l’economia, soprattutto la produzione e il consumo, di diventare autonomi il più possibile sul proprio territorio per ridurre al minimo la dipendenza dal petrolio. Significa ripensare i territori, le governance, i legami sociali, i “saper fare” per (ri)trovare i mezzi per essere resilienti per ciò che riguarda i combustibili fossili (Hopkins, 2011). Da questo punto di vista, la transizione ecologica si impone in uno scenario di rottura totale, catastrofista.

Secondo altri autori, si tratta anzitutto di un “adattamento per anticipazione” (Larrère, 2016).

La nozione di “sviluppo sostenibile”

La nozione di sviluppo sostenibile significa tutto e il contrario di tutto, a causa dei suoi confini non ben definiti, delle interpretazioni multiple e contraddittorie, che talvolta giustificano l’ingiustificabile (come ad esempio il premio Pinocchio allo Sviluppo Sostenibile).

Secondo Franck-Dominique Vivien, “il termine ‘sostenibile’ rimanda in francese alla ‘durata’ del fenomeno a cui si applica [in francese ‘sostenibile’ si traduce ‘durable’, ndt], come se il problema si concentrasse sul fare durare nel tempo lo sviluppo.

La nozione di sostenibilità permette di mettere l’accento su altre questioni relative alla distribuzione delle ricchezze tra le generazioni e all’interno di ciascuna generazione”.
Gilbert Rist analizza la prima comparsa del termine “sviluppo”, che avviene il 20 gennaio 1949 nel discorso del Presidente degli USA Henry Truman, che lancia, in piena guerra fredda all’indomani della seconda guerra mondiale, una nuova politica internazionale che permetta di reinvestire l’economia di guerra a favore dei paesi definiti da Truman “in via di sviluppo”.

Rist sospetta un sottotesto religioso ed evangelico di questo discorso, che spinge a una nuova fede: quella dello “sviluppo”. Da quel momento in poi, il termine conserverà un’aura particolare che gli conferirà sempre un carattere inafferrabile, astratto, assoluto. Si è spesso rimproverato a questo termine di essere sinonimo di crescita economica, e dunque di economia liberale.

Nel 1951, l’UICN (Unione Internazionale per la Conservazione della Natura) pubblica il primo rapporto sullo stato dell’ambiente nel mondo, rapporto pioniere nel suo tentativo di conciliare economia ed ecologia. Gli anni ’50 sono segnati dalla constatazione per cui le attività economiche sono lesive per l’ambiente. Nel 1968 i lavori del Club di Roma, con la pubblicazione del Rapporto sui limiti dello sviluppo nel ’72, hanno un forte impatto mediatico.

La tesi principale si può così riassumere: una crescita esponenziale in un mondo dalle risorse limitate è insostenibile.
Sempre nel 1972 l’ONU organizza la prima conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente umano (CNUAU). Il concetto di ecosviluppo (nozioni di I. Sachs) è il termine di riferimento.

Da questa conferenza nasce il Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (PNUA) e delle conferenze mondiali programmate ogni dieci anni, che diventano summit a partire dal 1992. L’unità di riflessione diventa mondiale.

Il termine di sviluppo sostenibile appare per la prima volta nella decisione del consiglio direttivo del PNUA nel 1975. Ma il primo testo che promuoverà lo sviluppo sostenibile a livello politico è la Strategia Mondiale della Conservazione della Natura dell’UICN, nel 1980.

Si tratta del rapporto commissionato dall’ONU a Gro Harlem Brundtland, primo ministro norvegese che farà riferimento alla definizione di sviluppo sostenibile. Il rapporto intitolato Our Common Future viene pubblicato nel 1987 dalla Commissione Mondiale sull’Ambiente e lo Sviluppo.

Due concetti sono interni a questa nozione: il concetto di “bisogni”, e in particolare i bisogni essenziali dei più poveri, a cui bisogna dare la priorità, e l’idea delle limitazioni che lo stato della tecnica e della nostra organizzazione sociale impone sulla capacità dell’ambiente di rispondere ai bisogni attuali e futuri.

La conferenza di Rio, o Summit della Terra, del giugno 1992, consacra il termine in un incontro tra i capi di stato di tutto il mondo sullo stato dell’ambiente. Con i suoi progressi e i suoi compromessi, il primo summit ha contribuito moltissimo alla consapevolezza mondiale intorno ai concetti di sviluppo sostenibile – economico, sociale, ambientale. A partire da questa data, gli stati e gli attori economici e sociali si riuniscono regolarmente per stabilire insieme il quadro e i piani d’azione per lo sviluppo sostenibile.

Alcuni grafici (0.3MB) sullo sviluppo sostenibile, tra cui una tabella che sintetizza le grandi correnti di pensiero sul tema.

Tra sviluppo sostenibile e transizione ecologica: dove siamo?

Il termine “transizione ecologica” può essere declinato in molti modi. La letteratura parla di transizione ecologica o di transizioni ecologiche (Larrère, 2016). Sembra che questa nozione di transizione in una prospettiva ecologista si sia fatta conoscere soprattutto a partire dal 2006 grazie al Movimento delle Città in Transizione di Rob Hopkins, professore di permacultura all’Università di Kindsale, in Irlanda (Hopkins, 2010). Pian piano il termine sembra diffondersi per sostituire la nozione di sviluppo sostenibile (Larrère, 2016 ; Theys, 2017).

Gli anni ’90 hanno visto svilupparsi il concetto di sviluppo sostenibile con tutta l’ambiguità (Theys, 2014) propria del termine “sviluppo”, molto criticata per la sua valenza di “crescita economica” (Larrère, 2016). Sia quel che sia, la transizione ecologica non sembra equivalente alla nozione di sviluppo sostenibile, ed è un termine che a volte può a volte sembrare anche più riduttivo.

“Nessuno di questi termini ha la capacità di costituire una lingua comune, di mettere in tensione obiettivi e mondi differenti, e dunque mobilitare gli individui” (Theys, 2014). Perciò, “più che ‘prima’ o ‘dopo’ lo sviluppo sostenibile, bisogna piuttosto immaginare una “seconda tappa” (Theys et al., 2010).

Nozioni collegate

giustizia sociale e ambientale, principio di precauzione, governance, resilienza, pratiche partecipative

Stampare questa pagina

image pictopdf.png (2.7kB)
Lien vers: https://etreserasmus.eu/?ConcepTIt/download&file=Transizione_IT.pdf
Cliccando sull'icona potete scaricare questa pagina in formato pdf per la stampa. L'utilizzo di questa scheda in creative commons prevede la citazione della sorgente e degli autori.
Autore della scheda : Orane Bischoff



Actualités Un réseau en Europe Vidéothèque